Di tutte le voci che si sono espresse in seguito all’intervista realizzata alla Direttrice dell’Agenzia per la sviluppo, Laura Frigenti, mancava quella della diaspora. Oggi questo vuoto viene colmato con le riflessioni di Adrien Cleophas Dioma, coordinatore del gruppo “Migrazioni e sviluppo” del Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo.
Io non sono un esperto di cooperazione e dunque è difficile per me affrontare questa tematica. Però sono un immigrato e questo mi porta ovviamente ad avere un’ idea su quale ruolo vorrei che ricoprissero gli immigrati in tema di cooperazione, non solo nei paesi di accoglienza, nel nostro caso l’Italia, ma anche nei paesi d’origine. Parlo di idea e non conoscenza; idee ed esperienze che possono sempre servire.
“Migrazione e sviluppo”,un tema di grande attualità, è stata una priorità del semestre di presidenza italiano, e porta a rivedere le politiche dello sviluppo al fine di creare condizioni di crescita e sviluppo sia qui in Italia che nei paesi di origine dei flussi migratori.
Nello specifico, la legge 125 adottata nel 2014, ha dato vita al Consiglio Nazionale per la Cooperazione allo Sviluppo. Il CNCS è il primo fra gli organi previsti dalla legge di riforma della cooperazione ad essere istituito. Nello spirito della legge rappresenta lo strumento permanente di partecipazione, consultazione e proposta sulla coerenza delle scelte politiche, sulle strategie e sulla programmazione, nonché sulle forme di intervento, la loro efficacia e valutazione.
La creazione del CNCS denota dunque la maturità dell’Italia nell’approccio con l’estero, che offre così un’opportunità per le diaspore di potere partecipare non solo allo sviluppo della loro nuova terra di accoglienza ma anche a quello del loro paese di origine. Opportunità e sfida significa anche che le comunità d’immigrati siano pronti, preparati e capaci di dialogare con le istituzioni e possano giocare il ruolo di ponte tra l’Italia e i paesi dove si va a fare cooperazione.
Parlare di migrazione e sviluppo vuol dire anche parlare delle associazioni e comunità d’immigrati cercando di affrontare le loro specificità e problematiche. Queste associazioni affrontano diverse difficoltà:
- Organizzative. Non riescono a farsi portavoce delle proprie comunità e continuano a reagire a problemi, questioni e proposte fatte da altri e altrove senza riuscire ad imporsi come forza attiva, capace di proporre idee e contribuire alla definizione delle politiche, come fanno altre forze sociali;
- Mancanza di rappresentati delle diaspore negli organi con potere decisionale;
- Assenza di una procedura che le accompagni per diventare strutturate, adeguatamente attrezzate e forti, perché riconosciute (mancanza di sedi, di possibilità di confronto vero, di mezzi e strutture per potere agire, etc).
Questi sono solo alcuni dei problemi che vivono le diaspore in Italia.
Opportunità e sfida significa anche che le comunità d’immigrati siano pronti, preparati e capaci di dialogare con le istituzioni e possano giocare il ruolo di ponte tra l’Italia e i paesi dove si va a fare cooperazione.
Invece se fossero organizzate, formate, accompagnate, ascoltate si avrebbe la possibilità di constatare come esse abbiano idee e visioni politiche e siano capaci di fare delle analisi con le associazioni di base (ong, associazioni), le istituzioni (ministeri) e con tutti coloro a cui le politiche dell’immigrazione e di cooperazione internazionale sono indirizzate.
Le diaspore possono anche diffondere e condividere conoscenze ed esperienze, tradurle in proposte, prospettive e strumenti di rafforzamento del ruolo degli immigrati in Italia e di conseguenza migliorare le loro condizioni di vita e quindi quella della popolazione in generale.
Per quanto attiene i paesi di origine, nella progettualità di co-sviluppo, i singoli (molto importante partire anche dalle esperienze personali) e le associazioni d’immigrati possono giocare un ruolo di supporto e consulenza alle associazioni, Ong e istituzioni che lavorano nel mondo della cooperazione avendo però il vantaggio di possedere, potenzialmente, i requisiti per fungere da ponte tra le due culture. E come diceva Senghor, primo Presidente del Senegal, “la cultura è all’inizio e alla fine di ogni progetto di sviluppo”. Diventa dunque molto importante partire anche da un approccio che rispetti le abitudine culturali degli diversi attori.
Ormai viviamo nell’era della globalizzazione ed è perciò obbligatorio parlare e progettare per arrivare ad uno sviluppo globale, dunque sviluppo qui, in Italia, ma anche lì nei paesi d’origine. Dobbiamo quindi ragionare in termini di cooperazione e sviluppo etico, capace di creare e distribuire ricchezza ad entrambe le controparti. Ancora una volta mi è d’obbligo evidenziare l’importanza del ruolo dell’immigrato che se inserito in modo adeguato nella realtà socio-economica del paese di accoglienza sarà ben disposto a collaborare nei processi di cooperazione. Il suo ruolo può essere importante nell’accoglienza, nella formazione ma anche nella definizione delle politiche di cooperazione.
Diventa fondamentale capire cosa vuole dire sviluppo dal punto di vista degli immigrati. Oggi che c’è un ampio dibattito sull’utilità e l’efficacia della cooperazione, il coinvolgimento degli immigrati può essere un elemento che accresce la fiducia da parte dei paesi beneficiari, che spesso si sentono strumentalizzati.
Diventa fondamentale capire cosa vuole dire sviluppo dal punto di vista degli immigrati.
Inoltre, oggi che c’è un ampio dibattito sull’utilità e l’efficacia della cooperazione, il coinvolgimento degli immigrati può essere un elemento che accresce la fiducia da parte dei paesi beneficiari, che spesso si sentono strumentalizzati.
L’immigrato, con la sua esperienza bidirezionale, può non solo capire ma anche cogliere le opportunità di investimenti commerciali e economici nei paesi di provenienza, segnalare quelle di interesse per le aziende italiane e accompagnare le stesse nei processi di analisi, progettazione e negoziazione.
Da questa breve analisi, si evince l’importanza del coinvolgimento attivo delle diaspore nei processi di cooperazione e sviluppo anche per le aziende italiane che vorranno investire all’estero, aprendo nuovi scenari per l’economia italiana.
In fine, ma non meno importante, è necessario definire quale è il ruolo della diplomazia. Essendo il CNCS un organo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione, ignorare le rappresentanze diplomatiche dei paesi coinvolti potrebbe rivelarsi un grave errore. Sono fermamente convinto che sia indispensabile individuare, da subito, la modalità più adeguata per creare uno spazio di confronto con le istituzioni che rappresentano i paesi dove intendiamo fare cooperazione.
La solidità dei ponti è garantita dai pilastri che lo sostengono, noi dobbiamo ragionare come i migliore ingegneri e adoperarci per costruire ponti che durino e si rafforzino nel tempo.